Nei primi anni settanta, in una Belgrado alle prese con svariati esperimenti d’arte concettuale, nasceva per puro caso un gruppo di giovani pittori decisi a formare il proprio credo artistico nel tentativo di riscoprire i metodi di pittura antichi.
Uno dei pittori di quel gruppo, non legato a nessun particolare modello del passato, era Vladimir Pajevic, che aveva appena conseguito il Master in Pittura all’Accademia di Belgrado. I suoi quadri, che somigliavano molto più alle scene di un film che alla classica pittura da cavalletto, già attiravano l’attenzione del pubblico e di qualche critico. Sulla scia dell’Europa ribelle, anche Belgrado odorava di cambiamenti rivoluzionari, e fu in quel momento magico che i giovani si imposero come protagonisti di rilevo. I cambiamenti furono immediati. Cinema, teatro e arte serba in generale divennero oggetto di interesse anche nel contesto europeo. Da questa vetrina, Vladimir Pajevic fu scelto e presentato in Svizzera da un gallerista che ne era rimasto incuriosito, attirato da quella pittura così nuova.
Negli anni a seguire si successero diverse mostre di Pajevic sotto l’egida di galleristi importanti come Mumental e Steinman. Ma la Svizzera era fin troppo quieta per soddisfare la curiosità giovanile del ragazzo belgradese, il cui sguardo era già rivolto verso l’Italia. Così, dopo la parentesi elvetica, Vladimir nel 1978 arriva a Roma, e si rende subito conto che è questo “il suo posto”. Inizialmente è la città eterna che detta il ritmo e le sequenze degli eventi. Vladimir viene catturato dall’immensa ricchezza che Roma custodisce, la cui esplorazione richiede molto tempo, sottratto alla pittura. Il suo mondo cambia radicalmente. La presenza umana, che caratterizzava la sua pittura fino a quel momento, diventa ormai solo sporadica. Roma, con i suoi spazi, imprime una lettura diversa della sua analisi pittorica. Oramai i suoi quadri raccontano di una malinconica - o meglio, nostalgica - ricerca dei luoghi perduti della nostra gioventù. Giardini abbandonati, muri scrostati ricoperti d’edera, narrano la vendetta del tempo e della natura sull’operato dell’uomo.
Nel 1983 l’incontro con la pittrice Ana Kapor, sua futura compagna di vita, e, poco dopo, con Giuliano De Marsanich, storico gallerista romano, aprono un nuovo capitolo nella vita di Vladimir. La Galleria Don Chisciotte in quegli anni era il punto di ritrovo di molti intellettuali romani, e teatro di importanti mostre di arte figurativa. De Marsanich, che presto diventerà oltre al suo gallerista anche un amico, è per Vladimir un consigliere prezioso e un acuto critico.
In quegli anni Vladimir incontra anche la gallerista Chiara Fasser. La sua Galleria dell’Incisione, di Brescia, diventerà un altro luogo molto caro a questo artista, che in quello spazio, cosi adatto ai suoi quadri, farà più di una mostra personale. E infine, l’incontro con Tiziano Forni. Il grande gallerista bolognese, che per decenni ha dominato la scena italiana di un certo tipo di pittura, scopre l’arte di Vladimir, lo presenta in varie occasioni nelle sue mostre, e lo ospita nella sua galleria di Bologna in due personali. Un rapporto di amicizia che oggi continua con la figlia Paola Forni, che ora dirige la Galleria Forni.
Nel 2008 il Panorama Museum di Bad Frankenhausen (Germania) ospita una grande mostra dedicata ad Ana Kapor e Vladimir Pajevic. Il direttore Gerd Lindner, instancabile difensore dell’arte figurativa, ha aperto il suo museo a questa ampia esposizione, che ripercorre venticinque anni di attività dei due artisti, esponendone più di 140 opere.
Uno dei pittori di quel gruppo, non legato a nessun particolare modello del passato, era Vladimir Pajevic, che aveva appena conseguito il Master in Pittura all’Accademia di Belgrado. I suoi quadri, che somigliavano molto più alle scene di un film che alla classica pittura da cavalletto, già attiravano l’attenzione del pubblico e di qualche critico. Sulla scia dell’Europa ribelle, anche Belgrado odorava di cambiamenti rivoluzionari, e fu in quel momento magico che i giovani si imposero come protagonisti di rilevo. I cambiamenti furono immediati. Cinema, teatro e arte serba in generale divennero oggetto di interesse anche nel contesto europeo. Da questa vetrina, Vladimir Pajevic fu scelto e presentato in Svizzera da un gallerista che ne era rimasto incuriosito, attirato da quella pittura così nuova.
Negli anni a seguire si successero diverse mostre di Pajevic sotto l’egida di galleristi importanti come Mumental e Steinman. Ma la Svizzera era fin troppo quieta per soddisfare la curiosità giovanile del ragazzo belgradese, il cui sguardo era già rivolto verso l’Italia. Così, dopo la parentesi elvetica, Vladimir nel 1978 arriva a Roma, e si rende subito conto che è questo “il suo posto”. Inizialmente è la città eterna che detta il ritmo e le sequenze degli eventi. Vladimir viene catturato dall’immensa ricchezza che Roma custodisce, la cui esplorazione richiede molto tempo, sottratto alla pittura. Il suo mondo cambia radicalmente. La presenza umana, che caratterizzava la sua pittura fino a quel momento, diventa ormai solo sporadica. Roma, con i suoi spazi, imprime una lettura diversa della sua analisi pittorica. Oramai i suoi quadri raccontano di una malinconica - o meglio, nostalgica - ricerca dei luoghi perduti della nostra gioventù. Giardini abbandonati, muri scrostati ricoperti d’edera, narrano la vendetta del tempo e della natura sull’operato dell’uomo.
Nel 1983 l’incontro con la pittrice Ana Kapor, sua futura compagna di vita, e, poco dopo, con Giuliano De Marsanich, storico gallerista romano, aprono un nuovo capitolo nella vita di Vladimir. La Galleria Don Chisciotte in quegli anni era il punto di ritrovo di molti intellettuali romani, e teatro di importanti mostre di arte figurativa. De Marsanich, che presto diventerà oltre al suo gallerista anche un amico, è per Vladimir un consigliere prezioso e un acuto critico.
In quegli anni Vladimir incontra anche la gallerista Chiara Fasser. La sua Galleria dell’Incisione, di Brescia, diventerà un altro luogo molto caro a questo artista, che in quello spazio, cosi adatto ai suoi quadri, farà più di una mostra personale. E infine, l’incontro con Tiziano Forni. Il grande gallerista bolognese, che per decenni ha dominato la scena italiana di un certo tipo di pittura, scopre l’arte di Vladimir, lo presenta in varie occasioni nelle sue mostre, e lo ospita nella sua galleria di Bologna in due personali. Un rapporto di amicizia che oggi continua con la figlia Paola Forni, che ora dirige la Galleria Forni.
Nel 2008 il Panorama Museum di Bad Frankenhausen (Germania) ospita una grande mostra dedicata ad Ana Kapor e Vladimir Pajevic. Il direttore Gerd Lindner, instancabile difensore dell’arte figurativa, ha aperto il suo museo a questa ampia esposizione, che ripercorre venticinque anni di attività dei due artisti, esponendone più di 140 opere.